LOGAN, THE WOLVERINE, di J. Mangold | Di confini e passaggi

Film: Logan, The Wolverine

Anno: 2017

Genere: western- cinecomic

Cast: Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Richard Grant, Boyd Holbrook

NON E’ UN PAESE PER VECCHI MUTANTI- Il futuro è un posto ostile, desertico, milleriano. Nel 2029 la stirpe mutante è stata spazzata via quasi completamente dall’uomo e resta solo un avamposto ai confini del mondo dove Logan, vecchio e malconcio, tiene al sicuro quel che ne resta. Appesi gli artigli al chiodo, Wolverine è ai margini della società e osserva gli altri vivere da uno specchietto retrovisore, come il suo nuovo mestiere richiede. E mentre ti chiedi come abbia fatto a ridursi in questo stato, ecco che nella sua vita irrompono una donna messicana che chiede protezione e una bambina molto silenziosa.

Il tema politico resta perennemente alla finestra. Siamo a El Paso, a due passi dal confine, la dottoressa che tiene in cura la bimba è una messicana ribelle che ha solo sete di giustizia.

"Logan”. 1889 V. Van Gogh

“Logan”. 1889. V. Van Gogh

Dichiaratamente e volutamente ispirato a Gli Spietati ma soprattutto a Il Cavaliere della Valle Solitaria (George Stevens, 1953)- di cui vediamo addirittura delle scene prolungate alla televisione-, il terzo spin off diretto da James Mangold è un film “di confine” e “di passaggio”.

Approposito, torna più che mai d’attualità il sondaggio: “Ma quanto cavolo somiglia Jackman al Clint Eastwood di una trentacinquina d’anni fa?”

Dicevamo, un film “di confine”. Confine tra passato glorioso e presente ai margini ma anche tra passato, presente e futuro, piuttosto nebuloso, dei cinecomics.

I grandi vecchi del Marvel Cinematic Universe, Logan e Xavier, tra appena 12 anni sono esseri malati, emarginati, fragili, confinati nell’angolo più polveroso del mondo, nello specifico una fattoria e una cisterna diroccata che dall’interno ricorda un po’ Cerebro. Le battaglie in calzamaglia sono nel dimenticatoio a tal punto che arrivi addirittura a dubitare che siano mai successe per davvero e non si tratti solo del delirio schizoide di un vecchio professore sulla sedia a rotelle.

Easy Rider mutante

Easy Rider mutante

Del resto tutto sa di disfacimento, dalla violenza esplicita e truculenta al turpiloquio spinto dei dialoghi; confrontarli con il primo pudico X-Men è un’operazione quasi divertente. La speranza arriva quando oltre l’orizzonte fordiano (più precisamente North Dakota) si intravede una nouvelle vague mutante figlia dell’odio dell’uomo del sud, delle macchine e delle provette- i millennials nati con la generazione digitale.

“Ormai ti vedo come un amico”.

“Ormai ti vedo come un amico”.

La sceneggiatura regala subito novità interessanti come la rilettura del personaggio di Calibano (era già in X-Men Apocalypse, ma in veste completamente diversa): lui e Logan vengono presentati quasi come una coppia gay.

Per la prima volta in 17 anni di cinecomics, i comics/fumetti degli X-Men finiscono nelle mani dei protagonisti del film e, se dapprima vengono trattati alla stregua di favolette per bambini, alla lunga diventano il senso profondo di tutto.

Ma Logan è anche un film “di passaggio”. Il tema politico e l’attualità americana restano perennemente alla finestra. Siamo a El Paso (letteralmente ”passo”, “passaggio”) a due passi dal confine tra Texas e Messico e la dottoressa che tiene in cura la piccola Laura (destinata a diventare X-23) è una messicana che ha sete di giustizia.

Disfacimento che sa di denuncia anche nei confronti di un cinema digitale senz’anima. Non a caso, nel film troviamo Logan nella doppia veste giovane-ricreato al computer-cattivo contro vecchio-carne e ossa di adamantio-buono, un po’ come già successo al vecchio Schwarzy.

In Logan ci sono due villain “dichiarati” ma sono entrambi deludenti e poco approfonditi (addirittura uno di essi si dichiara fan di Wolvie: autocitazionismo a palate). Hugh Jackman regala nuove interessantissime sfumature dark al suo alter ego più celebre prima di lasciare definitivamente il testimone, così come Patrick Stewart. Dafne Keen (classe 2005) nei panni di X 23 è di certo una star del futuro.

La battaglia del bene contro il male lascia il posto a tematiche molto più metanarrative e profonde che si amalgamano alla grande con le musiche di Jim Croce e Johnny Cash. Logan è un film molto più maturo dei suoi due deboli predecessori anche se, in definitiva, un po’ lunghetto.

La contaminazione cinecomic-western funziona, perché la contaminazione è la chiave del film a partire da quella che mina il corpo e il volto di Logan dall’interno (nella realtà, Hugh Jackman ha un tumore alla pelle) e che lo ha reso in una specie di reietto, più di quanto già non lo fosse; di indole buona, certo, ma qualche volta anche profondamente egoista.

L’ULTIMA BALLATA DI LOGAN- Insomma, Mangold trova una quadra non semplice pescando dalla sua precedente filmografia oltre che da Ford, Raimi, Leone ecc. L’estetica western si incontra con il gore più spinto e un film sui supereroi diventa il tratto (auto)conclusivo e discendente di una parabola iniziata quasi vent’anni fa da Bryan Singer. Logan- The Wolverine non è solo il canto del cigno di uno dei personaggi più iconici in assoluto degli ultimi anni, ma di un genere che è ormai parte integrante del dna della settima arte e quindi quasi-morto nella forma che conoscevamo (genesi dell’eroe, sequel ecc.) ma più che mai vivo sotto forma di simbionte del cinema in senso lato. E se speravate in una convergenza cool e scanzonata con Deadpool beh, dovrete attendere. O forse no.

di Giuseppe Piacente 

 

Author: copyisteria

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