Titolo: Thor Ragnarok
Regia: Taika Waititi
Anno: 2017
Genere: cinecomics
Cast: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston, Idris Elba, Jeff Goldblum, Cate Blanchette, Mark Ruffalo.
Se nel 1999 ci avessero detto che a distanza di qualche anno i cinefumetti avrebbero flirtato così tanto con i fans non ci avremmo mai creduto. Non avevamo idea che una cosa chiamata social network era pronta ad invadere le nostre vite.
Terzo capitolo della saga di Thor, il dio del Tuono, anche se la stella cometa del progetto è chiaramente I Guardiani della Galassia, che hanno- a detta di tutti- trovato la quadra per continuare il filone puntando forte sulla dissacrazione del mito e sulla comedy. Siamo più o meno agli antipodi della trilogia nolaniana del Cavaliere Oscuro. Restava soltanto un supereroe da convertire a questo nuovo corso una volta per tutte, il più ostico di tutti, il più anacronistico. Il brand Marvel che sembrava, senza troppi giri di parole, più spacciato a detta di pubblico e critica.
UNA FANTASTICA BARACCONATA- La domanda della vigilia era: “Potrà Thor unirsi al coro caciarone e colorato in un film che riscatti in parte la penuria di contenuti di Thor: the Dark World?”. Impresa non facile e confesso che io ero tra quelli che non credevano nella formula “mood divertente + estetica anni 80″ abbinate ad un personaggio come Thor, memore anche delle delusioni dei primi due episodi. E invece un neozelandese pazzo e dal nome impronunciabile, Taika Waititi, fatta tesoro della lezione di James Gunn suo mentore, riesce nell’impresa in modo sbalorditivo. In Thor Ragnarok si ride tantissimo, tanto che il talento comico cristallino di gente come Chris Hemsworth, Tom Hiddleston, Mark Ruffalo e Cate Blanchette ti fa quasi esclamare “Ma perché non ci avevano pensato prima!?” e così tutto si trasforma in una splendida baracconata perennemente in bilico tra dramma e buffonata, lineare e metacinematografico. Non ce ne vogliano i quattro attori citati ma qui la parte da leone la fa il redivivo Jeff Goldblum e il suo Grandmaster. Fan service, certo, ma di qualità. Qualcuno sicuramente non gradirà questo nuovo corso, la divergenza ormai insanabile tra celluloide e fumetto, però quel qualcuno non tiene nella giusta considerazione la differenza del mezzo e le esigenze di mercato. Quante volte abbiamo utilizzato il termine “baracconata” in accezione spregiativa, leggi “Batman Forever” di J. Shumacher. E invece la Mervel Studios di Kevin Feige ci sta insegnando una cosa ben diversa: anche le baracconate DEVI SAPERLE FARE. Non è un caso che il film si apra con una dichiarazione d’intenti ben precisa, una rappresentazione farsesca dei fatti accaduti nei primi due capitoli (con annesso spassosissimo cameo di non-diciamo-nulla).
Oramai alla Marvel Studios sembrano poter fare tutto, ivi compreso, ed è storia di questi giorni, trasformare un dramma shakesperiano in comedy pura con contorno di Led Zeppelin, senza che questo risulti fuori luogo, o meglio senza che il “fuori luogo” risulti fuori luogo. Non è tanto la maestria visiva né quella sonora, che pure sono di prim’ordine, quanto il modo con cui si utilizzano i codici, i linguaggi del cinema che fa la differenza. Si trattava di dosare gli ingredienti in maniera definitivamente diversa e convincente, di virare da Kenneth Brannah e il suo amato Shakespeare alle parti del pop spinto e onnivoro: Matt Groening, Todd McFarlaine, commedia pura insomma. Ci si diverte proprio tanto. I tempi sono più che mai maturi per le baracconate cosmiche di Infinity War. Grande cammeo di Stan Lee, extra credits un po’ deludenti. Insomma, Thor finalmente spacca! (ma non ditelo a Hulk).