GHOST IN THE SHELL, di R. Sanders | Involucri senz’anima

Film: Ghost in the Shell

Anno: 2017

Regia: Rupert Sanders

Cast: Scarlett Johansson, Pilou Asbæk, Michael Pitt, Juliette Binoche, “Beat” Takeshi Kitano

 

Premessa: se questo film si chiamasse in un altro modo, in questo articolo parleremmo di un buon sci-fi che ciononostante non toglie e non aggiunge nulla ad un genere che di recente ci ha regalato cosucce tipo Black Mirror.

“Beat" Takeshi sintetizza da par suo.

“Beat” Takeshi sintetizza così il tutto. CLICCA PER INGRANDIRE – Fonte: Movie Maniacs

Cronaca di un mezzo-flop annunciato: Ghost in the Shell arriva nelle sale di tutto il mondo. In realtà, solo l’idea che uno dei testi sacri del cyberpunk made in Sol Levante fosse nelle mani di Hollywood e di Rupert Sanders, tormentava da un po’ i sonni dei fans cresciuti con il mito di Mamoru Oshii e di Masamune Shirow.

“Hanno preso Guerra e Pace cyberpunk e l’hanno consegnato all’industria e ad un tizio che finora ha diretto Biancaneve e il Cacciatore”, dicevano. “Finirà tutto schiacciato, banalizzato, americanizzato oltre ogni limite da Hollywood”. Profezie che si autoavverano.

GROSSO GUAIO- Il deja vu e la curiosità ti prende da subito, fin dal risveglio del Maggiore sui titoli di apertura. Chissà cosa avranno combinato con quel popo’ di materiale già esistente. Ma poi realizzi l’inevitabile e cioè che sei di fronte a quello che tutti temevano, uno Shell without Ghost. Ci sono intere sequenze copiaincollate dal capolavoro di Oshii. Il guaio (e si tratta di un guaio grosso) è che queste scopiazzature, anche ben fatte per carità, diventano parte di un qualcosa a cui manca appunto l’anima.

Certo, non puoi mettere sullo stesso piano anime e film. Paragonare il lavoraccio di quei fenomeni della WETA Workshop Media Production alle leggendarie tavole di Shirow è probabilmente un’operazione irrispettosa ed ingiusta e non tiene nel giusto conto le difficoltà che si incontrano quando ci si avventura nella follia di voler dare corpo ad un mondo così ipertrofico, ricco di dettagli, insieme cupo e colorato e al senso di alienazione e smarrimento che suscita.

La cosa migliore del film.

La cosa migliore del film.

Non ci si poteva certo aspettare l’afflato e l’originalità autoriale, penso ad un Takashi Miike, ma ciò che disturba è proprio il tono didascalico con cui tutto venga servito su un enorme green screen e nulla resti alla chiave di lettura, ai silenzi e al noir. Il termine “riadattamento” non è mai stato tanto letterale e inutile come in questo caso e chi scrive era tra quelli che quindici anni fa PRETENDEVA la massima corrispondenza tra film e fumetto o videogame da cui era stato tratto. Che volete che vi dica, i tempi cambiano.

Ad onor del vero, va detto che portare al cinema qualcosa  che aveva già trovato la sua perfezione formale in veste non cinematografica era un’operazione al limite del proibitivo e questo era noto. Certo, così Sanders e soci hanno portato a casa la pagnotta con il minimo sforzo.

Blade Runner è evocato solo nei giganteschi ologrammi in giro per la megalopoli, per il resto hai la sensazione costante che potrebbe materializzarsi Jason Bourne o il Tom Cruise di turno da un momento all’altro per il più improbabile dei crossover.

Ci sta.

Ci sta.

COSE BUONE- Quello che di buono c’è in Ghost in the Shell viene dall’interpretazione degli attori, il che fa riflettere se si pensa che fanno semplicemente la parte degli involucri. Il migliore, a mio avviso, è Michael Pitt nei panni di Kuze, anche se lo vediamo poco e perdipiù incappucciato. E Scarlett? Nel ruolo del Maggiore è brava, inespressiva il giusto, fedele anche se un po’ ingessata nelle movenze. Accantonando per un attimo la polemica infinita e un tantino esagerata legata al whitewashing, nell’anime il Maggiore era una donna nuda a tutti gli effetti mentre qui, come prevedibile, hanno risolto con una cosa più “per famiglie”, quindi niente capezzoli e vai di fx e tutine di spandex color carne. Ad un certo punto, su una barca, si vede la “vera” schiena di Scarlett e ti senti anche un po’ preso in giro. E Batou? Il fedele alleato della Sezione 9 (da non confondere con il Distretto 9 di Neill Blomkamp) ha le sembianze mastodontiche di Pilou Asbæk. Sai quello che in Game of Thrones faceva Euron, lo zio stronzo di Theon Greyjoy? Ok, buono- non lo facevo così grosso. E poi c’è la dottoressa Ouelet (Juliette Binoche), perché la protagonista è divisa tra due madri, entrambe vere e legate al Maggiore. Dulcis in fundo serviva la star nipponica, quella che negli intenti avrebbe fatto da “ponte” tra due mondi. E chi meglio del buon vecchio Takeshi Kitano che recita in giapponese?

Conclusione:  Non basta aver coinvolto un mito vivente come “Beat” Takeshi e avergli dato un ruolo chiave. Ghost in the Shell di Rupert Sanders non toglie e non aggiunge nulla al genere. E un coro si alzò forte dalle sale: “Adesso non sminchiate anche Akira!”.

 

 

 

Author: copyisteria

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