CINEMA. THE ZERO THEOREM, di T. Gilliam | Incubi digitali

Film: The Zero Theorem

Regia: Terry Gilliam

Anno: 2015

Cast: Christoph Waltz, Matt Damon, Christoph Waltz, Tilda Swinton, Ben Whishaw, Peter Stormare

 

Leggendo la trama del film, Qohen Leth (Christoph Waltz) è una sorta di genio che elabora entità e cerca di assolvere un complicatissimo progetto assegnatogli da Management (Matt Damon con la chioma bianca), deus ex machina di tutta la razza umana. Tutto questo, filtrato dall’occhio grandangolare e barocco di Terry Gilliam, si traduce nell’assurda avventura/ non avventura di un signore dall’aria perennemente tesa, impegnato con un terminale più simile ad un videogioco retrò che ad un computer.

MAI ‘NA GIOIA- È un futuro cospirazionista (vedi 12 Monkeys) e molto distopico, a metà tra Orwell e Huxley, quello che disegna l’ex Monty Python. Un futuro molto molto simile a suoi lavori del passato. Chiuso nella sua bizzarra dimora (una chiesa sconsacrata), Quoen hakera/ lavora/ pilota/ “cosa” duro, senza apparenti contatti con l’esterno, monitorato costantemente da Management e coadiuvato da un ragazzino scavezzacollo (il figlio di Management) e da alcuni sinistri osservatori che sembrano usciti pari pari dall’Universo di Chester Gould. La grigia esistenza di Leth è tutta orientata alla risoluzione di un fantomatico Teorema Zero e non conosce gioie, neppure quando una donna lo invita a fare del sesso virtuale e lui si ritrova nel posto dove, in Teoria, chiunque vorrebbe essere: nessun rischio, condizioni climatiche modificabili a piacere, tempo infinito. Un paradiso per qualche minuto, poi un incubo. Per giunta, senza sesso.

L’unica cosa che dà speranza al nostro, che inizialmente (2009) doveva avere il volto di Billy Bob Thornton, è che il Teorema Zero gli riveli il senso della vita con una telefonata, una banalissima telefonata che pare non arrivare mai.

BRAZIL 2015- Il presente, la social network identity sono solo abbozzate, per dare forma al suo solito universo niente affatto verosimile ma più riconducibile ad un asfittico incubo. Il regista di Brazil disegna un “Brazil del presente”, un mondo frammentato, apocalittico, non esente da forzature. Il grottesco, da sempre la sua cifra stilistica, serve un po’ a provocare, a demonizzare il presente in maniera marcata (da uomo d’altri tempi quale Terry in fondo è), dall’altra a suscitare ilarità. Colori sgargianti, pacchianità grandangolare, tute ridicole dagli apparenti poteri tecnologici/esoterici infiniti, pubblicità costante contrapposta al grigiore e al caos interiore. Gilliam è così: o lo ami o lo odi. Il tocco autoriale è indubbio, spiazzante. Tutto sa di commedia grottesca e invece non si ride mai.

La società digitale è solo un altro tassello per rendere ancora più radicale quell’isolamento che già c’era in Brazil ed in altri suoi lavori. L’essere umano, in perenne attesa di un’anima che lo salvi, è un concentrato di nevrosi, tic, dissociazione, che trovano un’ottima collocazione nel corpo e nel volto allungato di Christoph Waltz (“E’ la sua migliore interpretazione”, ha dichiarato senza mezzi termini Gilliam all’ultimo Lucca Film Festival), lanciato da Tarantino nel gotha attoriale hollywoodiano.

“É la migliore interpretazione di Christoph Waltz in assoluto”- Terry Gilliam

The Zero Theorem è una pellicola dai tempi lunghi e dal sapore apocalittico, che invita le nuove generazioni a cogliere l’attimo e a riflettere sulla fragilità della nostra epoca, quasi un grido d’allarme contro la precarietà del vivere odierno. I gesti ripetitivi, il ritmo disumano e spersonalizzante della catena di montaggio digitale mina la ragione del povero Quoen un po’ come accadeva a Charlot in Tempi Moderni. Da operaio meccanico a hacker pare non esserci granché differenza per Gilliam. Un punto di vista condivisibile, per alcuni. Per tutti, semplicemente uno spunto per riflettere. In attesa del suo film su Don Chisciotte (la cui gestazione è ormai prossima ai 20 anni), Gilliam regala un buon film non esente da fragilità e momenti di noia.

Author: copyisteria

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