CINEMA. Split, di M. N. Shyamalan | No twist, no party

Louis Vivet. Split è vagamente ispirato alla sua vita.

Louis Vivet. Split è vagamente ispirato alla sua vita.

LA TRAMA- Un uomo ne uccide un altro in un parcheggio, si infila nella sua macchina e rapisce la figlia adolescente di lui e le sue due amiche. Le tre ragazze si risvegliano in un tugurio sotterraneo e, sopraffatte dalla paura, ben presto si accorgono di essere state rapite da un uomo affetto da DID (Dissociative Identity Disorder). Nel corpo di Kevin vivono 23 persone diverse, tra cui anche una donna e un bambino, più una 24esima molto pericolosa e pronta a venire alla luce. Le tre fanciulle dovranno cercare di sottrarsi ad un atroce destino con tutte le armi a loro disposizione.

Ammetto che l’hype per vedere Jim McAvoy in questo ruolo era tanto.

Il film è un thriller/ horror con finale gore che tira dritto per la sua strada senza girarci troppo intorno. Con una scelta quantomai spiazzante, il regista tra gli altri de Il Sesto Senso e The Village abbandona buona parte del misticismo che ne contraddistingue la filmografia e decide di raccontare la mente umana, sede di ogni realtà possibile, attraverso il cinema di genere. Protagonista è Kevin “Wendell” Crumb, interpretato da Jim McAvoy, la cui storia è in parte ispirata a quella di William Stanley Milligan (l’anno prossimo Leo Di Caprio sarà Billy in persona in The Crowded Room) e in parte da quella di Louis Vivet nato nel 1863 a Parigi. LEGGI QUI PER SAPERNE DI PIU’

Split è un concentrato di cose già viste, che hanno però il pregio di essere raccontate con ordine e grande messa in scena. Schizofrenia, follia, dissociazione, rapimento, fuga e escalation di sangue: il copione non brilla certo per originalità eppure Split viaggia a ritmi abbastanza elevati da far risultare il tutto godibile. Ci sono molte cose degne di nota: la regia ispirata e psicologica, la fotografia, gli interpreti, su cui (non ce ne voglia il buon Jim) spicca ancora una volta la bellezza e il talento ipnotizzante della ventenne Anya Taylor Joy, già apprezzata per The Witch. Il linguaggio visivo è inquietante, lento, quasi fotografico per buona parte e la scrittura ti porta nel cuore dei fatti subito e in maniera diretta. Dopo pochissimi minuti, infatti, lo spettatore ha già elementi a sufficienza per immaginare più o meno tutto ciò che lo attende.

Ci sono molte cose degne di nota: la regia, la fotografia, gli interpreti, su cui (non ce ne voglia il buon Jim) spicca ancora una volta la bellezza e il talento ipnotizzante della ventenne Anya Taylor Joy, già apprezzata per The Witch.

NEL TRENO- Da dove nasce lo split (trad letterale “Divisione”)? Quali sono la cause scatenanti? Un po’ come ne Il Silenzio degli Innocenti, l’identità del mostro/ genio e la sua genesi sono e restano avvolte dal mistero, figlie di un passato che noi spettatori non conosceremo mai se non grazie al racconto appena accennato dalla psichiatra: un episodio [spoiler] che riguarda un treno, simile alla location in cui avviene l’ultima trasformazione in stile Red Dragon (2002, B. Rattner)

Split

La splendida Anya Taylor Joy

NO TWIST NO PARTY- L’incedere è frenetico. La mimica di James McAvoy, fatta di tic fulminei e impercettibili, risulta quasi sempre convincente e all’altezza del delicato compito. L’attore scozzese si impegna al massimo in un ruolo che sembra scritto apposta per fargli vincere qualche premio. La storia procede spedita intrecciando un po’ di linee narrative tra presente e passato, come in attesa di qualcosa di grosso che avverrà nel finale, qualcosa alla Identity di James Mangold (2003) per intenderci. Purtroppo, proprio come un treno, il film  corre su binari un po’ prevedibili. Il vero colpo di scena avviene negli extra-credits (tipico di un certo filone di cui non dirò nulla), quando qualcosa preannuncia il sequel che non ti aspetti.

 

di Giuseppe Piacente

 

Author: copyisteria

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