CINEMA. IL CAPITALE UMANO, di P. Virzì | Virzì da Oscar

Un film di Paolo Virzì con Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Luigi Lo Cascio, Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Bebo Storti.

LA TRAMA- Un incidente costa la vita ad un cameriere. L’indiziato numero uno è il giovane rampollo di una famiglia bene della Brianza (Guglielmo Pinelli), figlio di un padre squaletto di banca (Fabrizio Gifuni) e di una madre in balìa degli eventi e perennemente orfana dell’amore vero (una grandissima Valeria Bruni Tedeschi). E’ l’episodio da cui scaturisce tutta la narrazione, il grande nodo da sciogliere.

Se Sorrentino ci aveva condotti nei salotti chic della Roma ultramondana per girare il suo film sul nulla/ declino, Virzì aggiusta il tiro e ci regala uno scorcio di Nord Italia- con veduta su tutto lo stivale- particolarmente amaro, malinconico, che tira in mezzo tutte le classi sociali in un vortice magistralmente architettato di falsità e menzogna. Non ce ne voglia Paolo Sorrentino, in corsa per l’Oscar con La Grande Bellezza, ma Il Capitale Umano è una pellicola corale perfetta, senza sbavature. Il cinema italiano dovrebbe ripartire da qui, specie a livello di scrittura.

La regia di Paolo Virzì è puntuale e impeccabile così come la colonna sonora indie-pop composta per buona parte da suo fratello Carlo. Il punto di vista del regista è asettico, spietato: i sentimenti, le passioni, le cose vere diventano una chimera a cui solo i giovani possono pensare di avvicinarsi. Per gli adulti, semplicemente, non c’è speranza (“Tra 20 anni capirai perchè ho fatto ciò che ho fatto”, ammette candidamente Carla a suo figlio dopo essere stata scoperta da lui a flirtare con un misterioso amante). L’Italia di questo film ostenta e intanto cade a pezzi come un vecchio Politeama di provincia. E’ un paese già sepolto, simulacro di un passato troppo remoto perfino per essere ricordato.

Virzì, come suo solito, si muove coi tempi della commedia per esplorare il declino della contemporaneità ma, al contrario di “Tutta la vita davanti”, stavolta ci racconta un thriller familiare attraverso una carrellata di di vite allo sbando, diversamente collegate fra loro: Dino (Bentivoglio), Carla (Bruni Tedeschi), Serena (Matilde Gioli, splendida), Luca (Anzaldo), Donato (Lo Cascio) ecc. I riferimenti sono tanti e di spessore: la divisione del film in quattro capitoli e la scansione di spazi e tempi strizza l’occhio, senza urlarlo, a Lars Von Trier (Melancholia). Più di qualcuno, poi, penserà ad American Beauty. Come nel capolavoro di Sam Mendes, tutte le prospettive nascono per essere sovvertite. Ogni cosa finisce per diventare il suo contrario e la Grande Bellezza appare fugacemente solo negli occhi di due giovani amanti tormentati (Gioli e Anzaldo come Thora Birch e Wes Bentley).

I punti di vista cambiano, le prospettive si ribaltano, i dialoghi si fanno sempre più affilati e la camera si sposta di quel tanto che basta per far scorgere allo spettatore una verità quasi insostenibile. Più aggiungiamo pezzi al puzzle (vediamo la stessa scena da più angolazioni diverse) più il film cambia forma. Il Capitale Umano è un film corale, complesso, incentrato sul vuoto affettivo che ci investe tutti a tutte le latitudini: ritratto fedele ed impietoso di un paese, il nostro, dove i poveracci muoiono nel silenzio, i borghesi vogliono ma non possono e i ricchi odiano. L’unico file rouge è fingere di essere chi non si è. Si respirano a pieni polmoni gli ultimi vent’anni d’Italia.

Ci sono almeno 8 cose che ti restano in testa dopo aver visto “Il Capitale Umano”:

  • Non viene citata neppure una volta la parola “destra” e neppure una volta la parola “sinistra”. Nessuna apologia del passato, specie degli anni 70. Una specie di miracolo, per il nostro cinema.
  • La sceneggiatura splendida, ispirata al romanzo di Stephen Amidon
  • Gli occhi sofferenti di Valeria Bruni Tedeschi
  • La vitalità dolente dei giovani (specie Matilde Gioli e Giovanni Anzaldo)
  • Fabrizio Bentivoglio bravissimo e quasi irriconoscibile, in coppia con Valeria Golino, nei panni di un brianzolo piccolo piccolo; talmente piccolo da vendere la felicità di sua figlia.
  • La cadenza brianzola di Valeria Golino e di Fabrizio Bentivoglio
  • Il ritratto di un paese messo in ginocchio dai tagli alla cultura, dalla crisi economica, dal riassetto del mercato globalizzato, dall’anarchia finanziaria delle banche e dalle speculazioni.
  • Le poche righe finali che spiegano il perché del titolo. Si ha la sensazione che un cerchio perfetto si chiuda nel momento stesso in cui queste parole compaiono sullo schermo.

 9

di Giuseppe Piacente 

 

Più che a “La Grande Bellezza”, il film di Virzì può essere accostato ad American Beauty di Sam Mendes.

Un Italian Beauty meravigliosamente scritto e interpretato.

Author: copyisteria

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